Tre parole vere sul mio tempo in seminario

Riccardo Bacchilega della diocesi di Imola

Riccardo, della diocesi di Imola, frequenta la quinta teologia e domenica 20 dicembre 2020 riceverà il ministero del lettorato. Qui la sua testimonianza.

Cosa considero veramente utile di ciò che il seminario di Bologna mi ha dato?
Gran bella domanda… tra queste, è stata la parola «veramente» che mi ha chiesto di andare in profondità e a pormi in uno sguardo dall’alto, d’insieme, su questi anni a Bologna.
Proverò a identificare tre parole chiave un po’ come va di moda da quando c’è papa Francesco.

Il Regionale nella sua storia ha sempre cercato di rispondere al tempo che viveva, cercando di formare pastori che aiutassero a portare avanti la missione della Chiesa.
Collocati come siamo in un cambiamento d’epoca, anche la Chiesa tenta (o è costretta) a ripensarsi mossa dallo Spirito presente nelle situazioni storiche, tra cui anche questa pandemia.
Lo stesso eco di ripensamento l’ho vissuto in seminario, in un continuo andirivieni di schemi vecchi e schemi nuovi. La fatica e il fascino della novità, la difficoltà a lasciare con criterio ciò che ha funzionato nel passato; chiedersi se gli strumenti aiutano a raggiungere il fine. Rinnovarsi. Questa è la prima parola che vorrei trattenere. Questo è ciò che mi è passato sulla pelle in questi anni. E se sarò prete neanche lì starà fatta la mia vita umana, spirituale e nemmeno staranno fatte le cose che farò.

Della formazione in seminario ne ho percepito anche la confusione e la difficoltà di individuare un modello di presbitero per una Chiesa che non conosce ancora quale forma avrà. Da una parte cerca di mettersi al riparo delineando, nella Ratio Fundamentalis del 2016, un prete super-uomo in termini di qualità umane; dall’altra cercando di dispiegare le forze migliori in termini di formatori, insegnanti, psicologi, responsabili dei luoghi di servizio, cercando il più possibile di lavorare in sinergia. Probabilmente mai come in questo tempo l’umanità del presbitero è stata così al centro delle cure di madre Chiesa.

In un certo tempo percepisco la fiducia di una Chiesa che, di fronte all’arduo compito, ha seminato anche sull’asfalto, ha sparso semente in abbondanza su di me, proprio senza badare al rischio che ne vada persa. Fiducia è la parola che vorrei trattenere.

Qualche parola su di me. Personalmente sono entrato in seminario sperando che mi venissero tolti i miei limiti, di uscirne formato, o meglio come si dice, conformato a Cristo, di raggiungere un certo livello, di stabilità, di equilibrio, di essere d’aiuto, guida.

Direi che tutto questo è fallito.

Mi ritrovo debole, forse più debole, con una fede che spesso non riesco nemmeno a dire che cos’è e una vivida coscienza della sproporzione tra la messe (non le messe) e gli operai.

Se il Signore mi vuole prete, lo attendo qui, in questa sproporzione, che umanamente mi annienta, ma con Lui può diventare vita, e vita cristiana donata.

Finalmente alla fine appaiono gli altri, i miei compagni di seminario, persone che dalle più svariate provenienze hanno intravisto una luce nella notte e, così come sono, si sono incamminati. Senza di loro non avrei potuto vivere. Mi è stato chiaro nel periodo di isolamento per positività al Covid il mese scorso. E mi è chiaro guardando al possibile futuro, anche se appartenenti a diocesi diverse (altra ricchezza del Regionale) che la vita è possibile solo «con». La vita e la vita cristiana è «vita con». Con Dio e con gli altri. «Vita con» è la terza e ultima parola che vorrei trattenere del mio percorso al Seminario Regionale Flaminio di Bologna.

Riccardo Bacchilega