TANTO HO RICEVUTO, TANTO DESIDERO DONARE: missionari nel 2022?

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“Non riuscirò mai a capire quanti doni ho ricevuto nella mia vita. E non solo perché sono stati tantissimi, ma anche perché molti doni non li ho riconosciuti”. Da quando ho lasciato Bergamo, sede dal 27 al 30 aprile del Convegno Missionario Nazionale dei seminaristi, fatico a dimenticare queste parole illuminanti. Mi hanno scavato, inciso, reso nuovo. Le ha pronunciate Matteo, seminarista dell’arcidiocesi di Oristano (OR) in Sardegna, che con me e come ha frequentato un laboratorio in cui, in gruppi da 10, ci siamo raccontati a vicenda un dono che Dio ha fatto nella nostra vita. Nella nostra storia. Matteo le ha sussurrate con un nodo stretto in gola, emozionato e toccato dall’amore di Dio.

 Credo che non esistano, o meglio ancora non le ho trovate, parole migliori delle sue per spiegare, in termini concreti, che cosa significhi vivere la missione oggi: riconoscere l’abbondanza “esagerata” di ciò che ho ricevuto e rispondere a questo dono donandomi a mia volta.

La bellezza del tema trattato, o meglio condiviso attraverso le esperienze di vita, (poiché non si tratta di raccontare concetti, ma il proprio vissuto), ha trovato la cornice perfetta in una bellissima Bergamo, che ancora porte evidenti e chiare le ferite della pandemia, ma che a sua volta ha avuto la fortuna di radunare e ospitare 150 seminaristi provenienti da tutta Italia. Dalla Lombardia alla Sicilia, dal Piemonte alla Calabria. Non ho l’obiettivo, in queste poche righe, di sintetizzare il tema del 65.mo Convegno Missionario Nazionale o riassumere il contenuto degli interventi, bellissimi ed emozionanti. Credo non sia necessario. Ben più importante è invece parlare di un aspetto che, arrivando a Bergamo, non avrei mai pensato di scoprire: quanti seminaristi gioiosi e innamorati di Dio abbiamo in Italia! Quanti ragazzi, giovani, adulti che si sforzano di essere “umani” nei loro gesti e comportamenti! Quanto Vangelo vivente ho incontrato conoscendo e parlando con tanti di loro. E allora, mi viene da dire, “forse c’è ancora speranza” (Lam 3, 29b) per il nostro tempo. Perché chi è il prete oggi se non un missionario? La vita è tutto quello che ho per mettermi in gioco e donarmi.

“Ma io chi sono? Io sono un dono a me stesso” ci ha spiegato con grande intensità e forza Mons. Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo. “Senza un dono che mi ha preceduto io non esisterei. Noi partecipiamo del dono della missione perché qualcuno ci ha anticipato. Il concetto di libertà, così abusato nella società odierna, lo si supera con il dono. Ma fate attenzione alla grande differenza che intercorre tra donare, che è un modo di fare, e donarsi, che è un modo di essere”. L’uomo, nel bel mezzo della sua missione, scopre però inevitabilmente che pur donando tutto di sé, questo non basta per salvare il mondo. “Io voglio donare tutta la mia vita, ma sono impotente. Quello che posso fare, infatti, non è guarire o salvare, ma tenere la mano di chi soffre e rendere umano il nostro stare insieme” spiega Mons. Marco Prastaro, Vescovo di Asti. “Io farò tutta la mia parte, che non è mai il tutto. L’impossibile lo fa il Signore”.

E così siamo ripartiti, da Bergamo, per ritornare nelle nostre diocesi, grati al Signore per i doni ricevuti e con un pizzico di malinconia perché, come sempre, l’esperienza è stata talmente bella da essere troppo “breve”. Da Bergamo partono seminaristi missionari, forse non (o non subito) in Africa o in America del Sud, ma in Italia sì. Perché la missione, confini non ne ha. Come il Vangelo, come la nostra fede. Bella, come sempre, e a volte davvero troppo bella per non essere annunciata.

Paolo Santi/ Stefano Bucchi