di don Andrea Turchini
Riportiamo di seguito l’articolo che don Andrea Turchini, Rettore del nostro Seminario Regionale, ha scritto per il fascicolo 9/2022 della rivista “Orientamenti pastorali” su come il seminario educa alla sinodalità, riassumendo brevemente anche alcune delle linee guida fondamentali che appartengono al nostro progetto formativo.
A partire dal Concilio Vaticano II, per custodire l’esperienza di grazia vissuta in quegli anni di “convocazione permanente”, la Chiesa ha intrapreso la via della sinodalità che, per i primi decenni, ha riguardato prevalentemente i vescovi.
Nel 2015, con la convocazione del primo Sinodo sulla famiglia, papa Francesco ha scelto di adottare un nuovo stile, che ha coinvolto nell’ascolto la base ecclesiale nelle sue varie componenti; da quell’esperienza iniziale questa prassi è divenuta ordinaria e precede tutte le convocazioni sinodali dei vescovi.
Sempre nel 2015, a Firenze, nel corso del V Convegno della Chiesa italiana, papa Francesco aveva invitato le nostre chiese ad assumere uno stile sinodale, ma solo nel 2021 l’intera Chiesa italiana ha intrapreso un cammino sinodale strutturato che sta coinvolgendo tutte le chiese particolari in un itinerario quinquennale.
Tutto questo accade nelle nostre chiese… E in seminario?
Il tema proposto è molto importante perché, quando si parla di sinodalità, è inevitabile fare i conti con il clericalismo che, come afferma papa Francesco, è una grave patologia ecclesiale che non coinvolge solamente i membri del clero, ma è anche il frutto di un’impostazione e di una formazione che per secoli ha affidato al solo presbitero – soprattutto al parroco – la responsabilità e l’onere della conduzione della comunità ecclesiale.
In questo testo cercherò di presentare alcune linee formative scelte dal nostro Seminario per formare i futuri presbiteri alla sinodalità. Più che di una trattazione, propongo la narrazione di quanto abbiamo provato a vivere in questi due anni (2020-2022).
Per onestà intellettuale e spirituale, devo premettere che queste linee formative rappresentano degli orientamenti su cui abbiamo scelto convintamente di elaborare la nostra proposta formativa, ma dalle verifiche effettuate dobbiamo riconoscere che se è per tutti molto chiara la méta, non è sempre così facile la traduzione di questo stile nella vita quotidiana; per questo motivo ci riconosciamo dentro un processo di conversione che, dentro le scelte compiute, ancora coinvolge tutti i membri della nostra comunità formativa.
Chi siamo: le caratteristiche della nostra comunità formativa
Credo che sia importante dare alcune coordinate di fondo per definire meglio il soggetto di cui ci apprestiamo a parlare.
In Italia, infatti, quando si parla di Seminario, è sempre bene cercare di comprendere la configurazione concreta della comunità formativa, perché il titolo di “Seminario” viene attribuito sia a comunità molto ampie e strutturate, che a comunità molto piccole e di dimensioni quasi famigliari.
Il nostro è un Seminario Regionale Pontificio fondato nel 1919, che oggi raccoglie i seminaristi di nove diocesi della nostra Regione (su un totale di 15): Bologna, Ferrara-Comacchio, Ravenna-Cervia, Imola, Faenza-Modigliana, Forlì-Bertinoro, Cesena-Sarsina, Rimini, San Marino-Montefeltro. Nell’anno formativo 2021-2022 i seminaristi erano 25, ben equilibrati tra giovani (con meno di 25 anni) e adulti (con più di 25 anni) e ben distribuiti nelle tappe del percorso formativo.
È importante mettere in evidenza questo dato: una buona metà dei seminaristi in formazione hanno un’età adulta, sono già laureati e vengono da esperienza lavorative.
Il seminario “di un tempo” era pensato per degli adolescenti, molti dei quali venivano da un percorso vissuto in seminario dalle scuole medie. Il seminario “di oggi”, invece, ha una buona componente di adulti, di persone che vengono da esperienze formative importanti e da ruoli di responsabilità lavorativa ed ecclesiale significativi.
Anche il dato numerico, pur essendo un dato relativo, risulta importante per comprendere le scelte che saranno illustrate di seguito: il numero contenuto della nostra comunità ci consente di attuare modalità e processi che, probabilmente, in una comunità più numerosa andrebbero organizzati e articolati in modo molto diverso.
L’équipe dei formatori: alcune scelte di fondo
L’équipe dei formatori è composta da tre membri: il rettore, il vicerettore e il direttore spirituale. Veniamo da tre diocesi diverse (rispettivamente Rimini, Ferrara-Comacchio e Bologna) e da esperienze diverse. Abbiamo tutti alle spalle una solida esperienza ministeriale, maturata sia come parroci, che nel servizio educativo e formativo con i giovani in vari ambiti del vissuto ecclesiale (Pastorale giovanile diocesana, Pastorale vocazionale diocesana, Azione Cattolica, AGESCI, Caritas… e nei seminari delle nostre diocesi).
Fin dall’inizio del nostro servizio in Seminario, iniziato insieme nell’estate del 2020, pur rispettando le caratteristiche proprie di ogni ruolo (la distinzione tra foro interno e foro esterno, per esempio), abbiamo scelto di agire in solido, dedicando molto tempo al confronto in équipe riguardo a quanto siamo chiamati a proporre alla comunità, riguardo al rapporto con le diocesi di provenienza dei seminaristi e alle situazioni dei singoli seminaristi con le esigenze formative personalizzate. Questa scelta è per noi molto importante perché ci obbliga a condividere ogni passaggio della vita del Seminario e testimonia ai seminaristi che, pur con le nostre diversità e sensibilità, ci impegniamo a camminare insieme e a presentare una modalità comunionale di gestire la realtà del Seminario.
In questo modo cerchiamo di mettere in pratica quanto afferma la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis al n. 132: «Il gruppo dei formatori non costituisce solamente una necessità istituzionale, ma è, innanzitutto, una vera e propria comunità educante, che offre una testimonianza coerente ed eloquente dei valori propri del ministero sacerdotale.» Siamo convinti, infatti, che la nostra azione formativa potrà essere efficace solamente se sarà confermata dalla nostra testimonianza di vita e nel servizio ministeriale.
La dimensione della sinodalità, oltre che essere illustrata, studiata e sperimentata dai seminaristi, è importante che sia testimoniata dai formatori nel loro agire ordinario e straordinario. Noi ci stiamo impegnando a farlo.
I fondamenti della nostra azione formativa
La nostra azione formativa è fondata su tre assunti fondamentali che determinano e caratterizzano lo stile e l’orizzonte della nostra proposta.
- I seminaristi sono persone adulte e come tali devono essere considerate. Indipendentemente dall’età, le scelte che hanno compiuto e che li hanno condotti in seminario ci testimoniano un modo adulto di pensare alla propria vita, in una prospettiva di dono totale di sé; tale approccio deve essere riconosciuto e rispettato. Se i seminaristi sono persone adulte, devono essere riconosciuti capaci di responsabilità.
- La responsabilità personale di ogni seminarista, sia verso il proprio percorso formativo, che verso gli altri, viene considerata da noi formatori sia la condizione per una formazione efficace, che elemento di verifica circa il progresso del percorso. Essere adulti e responsabili significa farsi carico di una realtà (la propria vita, il cammino in seminario, la comunità formativa, la comunità in cui si sarà inviati), spendendosi per renderla migliore dopo averne riconosciuto e accolto i limiti.
- La formazione del Seminario non può essere solo funzionale al ministero che i seminaristi – forse – vivranno un domani; per essere efficace e incidere sul vissuto della persona essa deve essere significativa nell’oggi, deve aiutare ognuno a vivere in pienezza questo oggi, perché questo è il kairos in cui il Signore chiama ognuno a seguirlo e a conformare a lui la propria vita. Se non vivo pienamente questo oggi in seminario, non posso sperare di poter vivere pienamente quel domani in cui sarò chiamato a prendermi cura di altri per accompagnarli a scoprire la chiamata di Dio nella loro vita. Per questo la vita del Seminario deve essere un tempo significativo, non solo un tunnel da attraversare obbligatoriamente (magari in apnea) per ritornare alla luce di una vita che esiste solo nella fantasia.
Questi sono i punti fondamentali su cui abbiamo provato a declinare la nostra proposta formativa.
La strutturazione della vita comune
Un elemento importante della vita comune è la strutturazione e organizzazione del tempo. Occorre trovare un equilibrio che consenta alla vita comune di essere significativa, ma non asfissiante. Non è affatto scontato che chi vive in Seminario abbia fatto la scelta della vita comune secondo il Vangelo. Per alcuni seminaristi essa rischia di essere subita come una condizione inevitabile. Il pericolo dell’individualismo è di casa anche in Seminario.
Nella tradizione formativa italiana, la vita comune in Seminario è considerata non solo in funzione del ruolo comunitario che il presbitero assumerà nell’esercizio del suo ministero, ma ad essa viene riconosciuta “una valenza educativa molto forte”[1].
Nel settembre del 2020, nei primi incontri con i seminaristi, noi formatori abbiamo scelto di organizzare tutti insieme la nostra vita comune. Abbiamo proiettato uno schema della settimana in cui erano definiti solamente gli orari dei pasti (che non dipendono da noi) e abbiamo chiesto alla comunità tutta intera, alla quale abbiamo riconosciuto un’esperienza e una competenza nella vita comune in seminario, di definire quali fossero le priorità intorno alle quali organizzare i nostri tempi, cercando insieme un equilibrio che ci consentisse di vivere bene questa esperienza formativa.
La nostra iniziativa ha destato sorpresa ed entusiasmo, … poi un po’ di fatica.
Sorpresa perché erano abituati ad accogliere (a volte passivamente) uno schema di vita proposto dall’équipe dei formatori, senza che venisse messo in discussione da molti anni. Entusiasmo perché si sono sentiti investiti di responsabilità su un elemento simbolicamente importante della vita del seminario. Poi la fatica, perché il confronto tra le varie sensibilità non è stato semplice: sono emerse figure più esuberanti che tendevano ad imporre una modalità svalutando le altre posizioni, portando il confronto su un piano ideologico (conservatori vs progressisti; conciliari vs devozionisti); abbiamo dovuto imparare a confrontarci, ad ascoltare, a cogliere il positivo nella posizione dell’altro… ma siamo riusciti ad elaborare una proposta condivisa che, periodicamente, viene verificata e aggiustata per la caratterizzazione dei tempi liturgici, per situazioni straordinarie o per venire incontro ad esigenze particolari che ognuno può manifestare.
Naturalmente anche noi formatori, in quanto parte della comunità, abbiamo concorso al confronto, cercando di richiamare alcuni elementi che potessero aiutare nel discernimento, cercando di moderare gli eccessi, dando spazio a chi faceva più fatica ad esprimersi, recuperando e portando all’evidenza di tutti quello che ci sembrava venisse ignorato perché minoritario.
Potremmo definirla una prima esperienza sinodale in Seminario, che cercava di uscire dalla logica del “si è sempre fatto così”[2], richiamato dalla Evangelli Gaudium al n. 33 come la premessa di una riforma della Chiesa in chiave missionaria.
I processi di scelta in tempo di Covid
Quando abbiamo iniziato la nostra esperienza formativa, nel settembre 2020, eravamo in piena emergenza Covid, caratterizzata dalle successive ondate di contagio. Mentre nella prima ondata (marzo-aprile 2020), non avendo consapevolezza di cosa sarebbe accaduto, i seminaristi erano stati inviati nelle loro rispettive famiglie e lì sono rimasti fino alla fine dell’anno formativo, iniziando il nuovo anno, avendo a disposizione maggiori dispositivi (mascherine, ecc.) e maggiore contezza delle esigenze legate al contenimento dei contagi, d’accordo con i vescovi, abbiamo dichiarato che la comunità sarebbe rimasta attiva e avremmo vissuto insieme quello che ci attendeva.
Ovviamente la situazione era inedita e nessuno sapeva bene come ci si dovesse comportare. Era il tempo delle zone colorate. La sfida maggiore per noi era scegliere se rimanere chiusi in Seminario, preservando il più possibile la comunità dal contagio, oppure rischiare il contagio continuando il nostro servizio nelle parrocchie, lì dove ancora si riusciva a proporre qualcosa ai bambini e ai ragazzi, affiancando i preti, gli educatori e i catechisti che ancora erano disponibili. Abbiamo dovuto affrontare insieme la sfida del discernimento tra ciò che chiedeva la legge e ciò che, in coscienza, ci sentivamo di dover fare, pur nel rispetto delle normative e della prudenza.
Sono stati confronti difficili, che hanno chiesto molto tempo e fatica nel confronto. La posta in gioco era alta e la scelta di uno poteva condizionare tutti con lunghi tempi di quarantena e rischio di ammalarsi.
Abbiamo deciso di informarci accuratamente, consultando dei medici esperti che potessero aiutarci nel discernimento. Abbiamo dato a tutti la possibilità di esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni, soprattutto i propri timori di fronte alla possibilità del contagio. Siamo arrivati infine ad una scelta comune: finché ci fosse stato possibile avremmo continuato il nostro impegno pastorale. Come era prevedibile, in poco tempo, già all’inizio di novembre 2020, questa scelta ci ha portato ad un contagio che ha colpito quattro membri della nostra comunità; poi tutta l’Italia è finita in zona rossa e non abbiamo più potuto muoverci da Bologna.
A questo punto però, superato il tempo della quarantena senza gravi conseguenze, ci siamo chiesti come potevamo metterci al servizio delle nostre comunità in un tempo di lockdown. Abbiamo studiato quanto era stato sperimentato durante la prima ondata; abbiamo vissuto un confronto aperto con esponenti ecclesiali che avevano preso posizione nel dibattito ecclesiale di quel tempo (mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, per esempio); infine abbiamo scelto di impegnarci nella pubblicazione di alcuni sussidi rivolti soprattutto ai giovani e alle famiglie e diffusi tramite i social media che avevano aiutato molto durante il primo lockdown.
Tutte queste scelte sono state elaborate e verificate insieme, coinvolgendo anche alcuni uffici pastorali diocesani e alcune persone delle nostre diocesi con cui eravamo entrati in contatto.
Sono stati giorni di fatica e di tensione, per comporre le diverse sensibilità e accogliere i timori che ognuno aveva il diritto di condividere con i formatori o con la comunità. Attraverso lo stile sinodale, scelto fin dall’inizio dell’anno, abbiamo cercato di far sentire ognuno responsabile delle scelte che avevamo assunto insieme, senza che nessuno si trovasse a subirle passivamente.
La corresponsabilità nella cura della vita comune
Al di là dell’emergenza Covid e delle vicende molto provocanti che abbiamo attraversato in quei mesi, lo stile sinodale che avevamo scelto andava alimentato anche nella vita ordinaria che ha caratterizzato maggiormente l’anno 2021-2022. Ciò che si era iniziato andava custodito e fatto crescere. Non era sufficiente, infatti, aver dato una spinta inziale al percorso della vita comune: essa andava verificata, curata, rilanciata perché è normale smarrire le motivazioni inziali, ridursi a degli automatismi o al minimalismo formale di alcune scelte.
Nel nostro cammino comunitario in stile sinodale abbiamo avvertito fin dall’inizio l’esigenza di un appuntamento settimanale in cui si verifica insieme quanto abbiamo vissuto e si prendono insieme decisioni su quanto viene proposto per il tempo successivo.
Questo appuntamento settimanale è riconosciuto da tutti come molto importante e viene custodito dalla sovrapposizione di altri impegni. Ovviamente la ricorrenza settimanale è impegnativa e a volte rischiamo di essere un po’ sbrigativi nel confronto.
Questa esperienza di corresponsabilità è stata oggetto anche dei gruppi sinodali vissuti in Seminario durante la primavera 2022, in sintonia con il cammino delle nostre diocesi. Abbiamo riconosciuto l’esigenza di affinare il metodo di confronto, distribuendo per tempo ad ognuno un “ordine del giorno” sulle scelte che verranno proposte nell’incontro settimanale, in modo che ognuno possa arrivare preparato dopo averci pensato ed essersi confrontato, soprattutto per le proposte che vengono dall’équipe dei formatori. Perché il confronto sinodale sia fruttuoso occorre infatti vigilare sui processi perché non perdano il loro valore e il loro significato e si riducano ad un contenitore vuoto.
Le difficoltà
Ho già accennato nelle righe precedenti ad alcune fatiche e difficoltà che abbiamo dovuto affrontare in questo cammino. Vorrei soffermarmi in particolare su tre difficoltà ricorrenti su cui abbiamo bisogno di vigilare, rimotivarci nelle scelte compiute e convertirci.
La prima difficoltà è data dai tempi richiesti dai processi di confronto sinodale, su temi che riguardano la vita quotidiana, che non sempre si armonizzano con le tempistiche frenetiche della vita. La tentazione di saltare i passaggi, di esonerarsi dal confronto, di corrispondere a tempistiche imposte dall’esterno è molto forte. D’altra parte, non si può vivere in convocazione permanente. A questa difficoltà abbiamo tentato di rispondere in due modi: prendendoci il tempo necessario sulle questioni più importanti; adottando modalità più semplici di confronto su questioni più ordinarie, sfruttando anche tempi più informali.
Una seconda difficoltà è emersa rispetto al ruolo dei formatori e al valore da attribuire ai loro interventi nel confronto comune. Per qualcuno la parola del formatore è da considerare come una parola definitiva che chiude il confronto. Abbiamo cercato di aiutare tutti a capire che anche noi formatori, senza abdicare al nostro ruolo, entriamo nel gioco del confronto sinodale e solo alla fine ci assumiamo l’onere di tirare le conclusioni del confronto e mettere in evidenza la linea emergente dall’ascolto di tutti, chiedendo a tutti conferma circa l’esito del confronto. Per qualcuno è ancora difficile considerare la nostra parola come discutibile.
Una terza difficoltà è emersa rispetto alla complessità generata da un confronto tra diverse sensibilità, una complessità che per alcuni è difficile da accogliere e da comporre. Le persone che fanno più fatica di fronte alla complessità tendono ad invocare un intervento risolutivo dell’autorità che semplifichi la situazione con una posizione chiara e autorevole. Anche rispetto ad alcune fatiche vissute in comunità, qualcuno tende a scaricare la responsabilità sui formatori, i quali dovrebbero risolvere il problema prendendo posizione e dicendo chiaramente cosa si deve fare. Spesso queste posizioni manifestano una certa immaturità della persona e, qualche volta, una propensione a pensarsi da presbitero in un ruolo di autorità che non deve confrontarsi e dialogare con chi è portatore di posizioni differenti nella comunità. Lo stile sinodale evidenzia che, per qualcuno, c’è un lavoro formativo da compiere e una verifica seria sull’opportunità di ammettere al ministero chi non è disponibile a vivere in uno stile dialogico e comunionale il suo servizio alla comunità.
Un percorso sinodale per il Progetto formativo del Seminario
Un’ultima parola la vorrei esprimere su un progetto che ci sta coinvolgendo in questi mesi. È emersa l’esigenza di aggiornare il Progetto formativo del Seminario per aggiornarlo alla situazione presente della nostra comunità e alle linee formative indicate dalla Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (2016). Dopo un ampio confronto con i vescovi della diocesi afferenti al nostro Seminario, noi formatori, insieme ai formatori del Percorso propedeutico di Faenza (separato, ma organicamente connesso al nostro Seminario), abbiamo deciso di procedere in modalità sinodale, condividendo con le diocesi il percorso di elaborazione del progetto.
Abbiamo prima di tutto deciso di metterci in ascolto di persone che, in vari ambiti ecclesiali, condividono l’impegno della formazione (presbiteri, religiose e laici), invitandoli ad un laboratorio sul Seminario che si è tenuto nei primi giorni di febbraio 2022.
A questo laboratorio è seguito un tempo per la scrittura di una bozza di Progetto formativo che, da maggio 2022, stiamo portando nelle nove diocesi che afferiscono al nostro Seminario, per un confronto ampio con i presbiteri e con tutti quelli che volessero dialogare con noi, in momenti organizzati dalle varie diocesi, in accordo con i singoli vescovi. Tale confronto durerà fino alla Pasqua 2023. Raccogliendo poi tutti i contributi emersi dal confronto nelle diocesi, arriveremo ad una stesura definitiva del Progetto formativo che, nell’ottobre 2023, sarà formalmente approvato dai nostri vescovi.
Conclusione
Mi è stato chiesto dalla Redazione come si formano in Seminario i futuri presbiteri ad uno stile sinodale. Devo ammettere che non so rispondere a questa domanda. I nostri seminaristi frequentano innumerevoli corsi di teologia, tutti ispirati al Concilio Vaticano II e al magistero che ne è seguito. Non sono certo i contenuti che mancano a loro!
Siamo convinti che la formazione (diversa dall’istruzione) avvenga soprattutto per via esperienziale. Per questo abbiamo scelto di dare alla vita ordinaria della nostra comunità uno stile sinodale, perché possa essere sperimentato insieme, con le sue fatiche e i suoi limiti, e possa essere scelto come stile di esercizio del ministero.
Oggi ci troviamo in una fase di passaggio del nostro vivere ecclesiale.
Se penso al futuro, spero che i seminaristi che sceglieranno di diventare preti tra dieci anni siano generati da comunità ecclesiali che vivono ordinariamente questo stile di comunione e che portino nella comunità formativa del Seminario la ricchezza dell’esperienza spirituale ed ecclesiale che ha fatto nascere la loro vocazione.
Solo allora potremo dire che il nostro impegno formativo di oggi ha portato frutto.
don Andrea Turchini
[1] “La comunità del seminario ha una valenza educativa molto forte. Le celebrazioni liturgiche (specialmente l’Eucaristia e la Liturgia delle ore), gli incontri comunitari di formazione, condivisione, programmazione e verifica, la trama delle relazioni interpersonali improntate alla carità e alla verità, una comunicazione autentica, l’attenzione a chi è nel bisogno, il dialogo educativo e l’obbedienza rispettosa, attiva e responsabile verso gli educatori, la capacità di affrontare i conflitti con maturità, la correzione fraterna fatta con delicatezza e sincerità, la qualità evangelica della vita in comune, il senso di responsabilità reciproca e l’umile impegno nel servizio influiscono significativamente sulla personalità dei suoi membri; in particolare, il clima che vi si respira, nella misura in cui è sereno, familiare, laborioso e propositivo, contribuisce grandemente allo sviluppo di personalità mature e armoniose.
La vita della comunità sarà tanto più ricca e gioiosa quanto più ogni componente farà l’esperienza di essere continuamente rigenerato dallo Spirito del Risorto e di essere da lui sostenuto nel percorrere le tappe del cammino pasquale; così, superando le sue debolezze e i suoi egoismi, vincendo pigrizie e chiusure, potrà mettere a disposizione di tutti i doni ricevuti e sentirsi corresponsabile del buon andamento generale”. Conferenza Episcopale Italiana, La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme (terza edizione)., 2007, Editrice Vaticana, n. 74.
[2] “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. (…) La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia.” Francesco, Evangelii Gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, (2013) nn. 27 e 33