FARE SANMICHELE

IL TRASLOCO

Ogni seminarista trapiantato nella città petroniana si trova a fare i conti con modi di dire singolari, espressioni che altrove nessuno riuscirebbe a capire. Fra questi impara a chiamare tiro il pulsante per aprire agli ospiti che hanno suonato al campanello, a dire rusco per riferirsi alla spazzatura, forse da quell’arbusto spinoso in cui si gettavano i rifiuti per impedire l’accesso agli animali, e panni per indicare non la biancheria del bucato ma le coperte che servono a scaldarsi nel letto.

Tra le espressioni dialettali ne ho scoperta una nuova: frutto di una tradizione radicata “fare sanmichele” significa, a Bologna, “traslocare”.

Nel giorno della festa di san Michele scadevano i contratti d’affitto e molte famiglie cambiavano casa. L’evento aveva l’odore dell’avventura, pionieristico e zingaresco come il passaggio di una carovana. I traslochi venivano fatti con i carri agricoli della campagna. Chi doveva traslocare si serviva dei contadini che venivano coi loro mezzi per trasportare il mobilio dalla casa che si lasciava a quella in cui si andava ad abitare. La data era valida per tutti; rischiava qualche complicazione quando coincideva col giorno della processione della Beata Vergine di San Luca per le vie della città: un guazzabuglio colorato di uomini, santi e madonne.

Quest’anno è toccato anche a noi “fare sanmichele”, spostarci, armi e bagagli, dal Seminario alla villa Revedin, sede fino a qualche anno fa della vacanza estiva dell’arcivescovo.
Il trasloco di un seminario è un evento raro. In passato accadeva quando il numero dei seminaristi superava la capienza dell’edificio, in caso di eventi bellici o perché le condizioni non erano più adatte alla formazione.

Il trasloco era desiderato e temuto da tempo; la novità spaventa ma è carica di speranza. 

L’edificio da cui venivamo chiedeva una manutenzione ormai irrimandabile e i bisogni della comunità erano cambiati; venti seminaristi non sanno cosa farsene di infiniti corridoi e innumerevoli stanze. Le linee formative della Conferenza Episcopale segnalavano poi l’importanza della dimensione domestica per favorire relazioni gratuite, costruire scuole di fraternità e palestre per esercitare la riconciliazione.
La Villa è sembrata il luogo più adatto: vicina alla sede precedente, grande quasi a sufficienza, occasione propizia per provare a vivere in modo nuovo all’insegna del Vangelo.
Abbiamo dedicato al trasloco la prima settimana dell’anno formativo. Al nostro arrivo il cantiere presentava diversi giorni di ritardo, gli elettricisti avevano appena incominciato e gli imbianchini comparivano sporadicamente in qua e in là. Abbiamo raccolto lo stato dei lavori così com’era provando ad investire sulle zone che non richiedevano alti interventi: il giardino, lo scalone, la cappella. C’erano poi da portare via molti mobili che erano appartenuti ai cardinali Biffi e Caffarra e spostare l’arredo delle camere dal seminario alla Villa. Se qualcuno in quei giorni avesse fatto una passeggiata nel giardino avrebbe visto diverse squadre di seminaristi carichi di mobili, materassi e reti, quadri allegramenti assiepati sul camion, sulla terrazza o per le scale.
Di continuo mettevamo in discussione le soluzioni abitative, cambiavamo la disposizione degli arredi, accomodavamo ciò che ne avevano bisogno. Qualche cosa è stato comprato, molto riutilizzato.
In quella settimana abbiamo anche provato a dare una nuova impostazione alla vita della comunità. Gli orari della preghiera, i turni dei servizi, le pulizie, la spesa e la cucina sono stati al centro dell’organizzazione dei primi giorni.
La casa non nasceva come seminario e, in buona parte, è stata da ripensare. Non più un refettorio ma una sala da pranzo, prima la bettola ora un salotto, invece di tante camere singole, qualche singola e qualche doppia.


Oggi la Villa, alla quale si accede tramite uno scalone signorile, si presenta con un bell’atrio accogliente. Abbiamo deciso di puntare molto su una stanza che è diventata il “biglietto da visita” della comunità. Lì, dato che è la camera più grande, ci troviamo anche per far le riunioni serali. Immediatamente dopo il vestibolo c’è un piccolo chiostro, cavedio da cui prende luce tutta la casa. La cappella è stata pensata per aiutare la dimensione corale della celebrazione e si trova, dopo l’ingresso, sulla sinistra.

Simmetricamente, a destra dell’atrio, c’è la cucina fatta ex novo.
Per continuare la visita del piano giorno troviamo una sala per studiare ampia e luminosa, poi l’ufficio del padre spirituale e quello del rettore. Dall’altra parte c’è la grande sala da pranzo, simpatica combinazione di cose nuove e cose antiche, attigua al salotto.
La maggior parte delle camere si trova al piano superiore, al piano terra una sala multifunzionale, la lavanderia, la dispensa e qualche altra camera.


Il trasloco è stato una occasione per conoscerci più a fondo. Il lavoro gomito a gomito ha rivelato tante abilità nascoste, le discussioni, gli schizzi, i progetti a tavolino hanno messo in luce i caratteri più caparbi, quelli più comprensivi, quel po’ di diplomazia e di accoglienza evangelica sempre necessarie all’edificazione della comunità.