A sessant’anni dal Concilio

di Francesco Agatensi

L’11 ottobre 1962, sessant’anni fa, cominciava a Roma il Concilio Vaticano II, atto con il quale la Chiesa Cattolica, finalmente, fa i conti con la modernità. La mattina dell’11 ottobre Papa Giovanni XXIII era già colpito dal male che poi nel giugno 1963 lo porterà alla morte, ma nemmeno per un istante prese in considerazione di non scendere in San Pietro con “la processione dei 2000 vescovi” e aprì l’assemblea con il suo significativo discorso Gaudet Mater Ecclesia dove stigmatizzò i “vari profeti di sventura” che non vedono altro che male nella società preferendo invece “una Chiesa che preferisce la medicina della misericordia”. Già da questi cenni capiamo di essere davanti ad un evento storico, con tutte le dinamiche complesse analizzabili in ogni fatto della Storia, e profetico, perché generatore di temi e questioni attuali, basti pensare al magistero dell’attuale pontefice sul tema della misericordia.

Così un testimone autorevole ricorda quel giorno, lo leggiamo dal diario del Concilio del Vescovo di Trieste e Capodistria monsignor Santin, amico ed estimatore di Roncalli: “Quando entriamo in S. Pietro (io sono con mons. Fissato di Vicenza) già più della metà dell’Aula conciliare, dall’entrata, è piena di vescovi. Prendiamo posto. Arriva il Papa. Deve avere nervi di ferro. Egli domina calmo ogni situazione…… Quando tutti i vescovi hanno preso posto è il Papa che sale sul trono sotto il ciborio del Bernini davanti all’altare papale … Incomincia la funzione che terminerà alle 13.15. Tutto si svolge con solennità decoro e pietà. Veni Creator intonato dal Papa, pontificale del card. decano Tisserant con assistenza papale, obbedienza, professione di fede prima del Papa poi dei Padri, canto del Vangelo nelle due lingue [greco e latino, ndr], intronizzazione del Vangelo, e prima ancora Litanie dei Santi e discorso del Papa. Così incomincia il più grande Concilio della storia per numero di partecipanti e probabilmente uno fra i più grandi per l’importanza che avrà … A sera arriva a piazza S. Pietro una fiaccolata organizzata dai giovani … Tutta la via della Conciliazione pare trasformata in un mare di fiamme che invadono piazza S. Pietro…… Il Papa appare alla finestra del suo studio … Parla con semplicità, da padre. Benedice e augura la buona notte e dice: «Quando ritornate a casa fate una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa» … Così ha avuto inizio il Concilio nella festa della Maternità di Maria. Esso è affidato a Lei”. Anche i media contribuiranno a descrivere il Concilio come una grande festa dello Spirito, l’irruzione di vento fresco in ambienti resi stantii dalla paura.

Il Concilio Vaticano II – foto di Walter Asencio, licenza CC BY-SA 4.0

È ironia agrodolce che questa festa della modernità venga celebrata nel tempo dei funerali di quella stessa modernità. La Guerra fredda sembrava aver congelato un processo che in profondità continuava a scavare inesorabile: le grandi guerre mondiali avevano spazzato via il mondo moderno dell’Europa coloniale, la post-modernità cominciava a scorrere nelle vene della Storia. E oggi infatti siamo una Chiesa in crisi, assieme alle altre istituzioni umane che fanno i conti con la “liquidità” del mondo globale, neoliberale e post-moderno. Una Chiesa che stenta a recuperare le categorie per leggere la realtà persino dai grandi testi programmatici del Concilio, tanto che spesso qualcuno vagheggia di una terza assise conciliare.

Forse sessant’anni fa il discorso d’apertura contiene una perla preziosa, capace di illuminare il “dover ricominciare” delle nostre comunità. Stavolta cito per intero papa Giovanni XXIII: “Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”.